venerdì 28 marzo 2014

DALLA TRADIZIONE SICILIANA "LA ZABBARA" AGAVE QUANTA STORIA E ARTE


Zabbara è una parola siciliana di origine araba che indica l’agave, una pianta dalle larghe foglie spinose con un’alta infiorescenza di fiori gialli a grappoli. Pare che la pianta, originaria della Persia, sia stata introdotta in Sicilia al tempo della dominazione musulmana. La zabbara era sistemata a filari per delimitare i campi e “zabbarata” era chiamata per l’appunto la siepe di agavi che recingeva un campo. Gli appuntiti aculei e le grosse spine laterali delle foglie costituivano un efficace deterrente per...
animali e uomini che avessero voluto varcare i confini di una proprietà per pascolare o raccogliere frutti. Ma, come spesso accadeva nei tempi andati, quando ogni pianta veniva sfruttata in tutti i modi possibili, anche la zabbara si prestava a varie forme di utilizzazione: le foglie esterne della pianta tagliate e private delle punte e degli aculei laterali venivano fatte essiccare al sole e poi tagliate a strisce sottili in modo da formare delle cordicelle chiamate “liame”, che venivano usate per tenere insieme covoni di grano, fascine di tralci di vite e di rami d'ulivo e altro. Le alte infiorescenze fornivano lunghi e dritti pali buoni per tutti gli usi. I più diffusi vocabolari siciliani sostengono che la liama si ricavasse dalla “ddisa”, una pianta che cresce spontanea nelle sciare, ma nel marsalese liama indica le cordicelle di agave e non la “ddisa”. I più anziani tra i nostri contadini ricordano ancora questa utilizzazione della zabbara. Meno conosciuto è invece un tentativo meso in atto dall’industriale vinicolo, archeologo e ornitologo (studioso degli uccelli) Joseph Whitaker, familiarmente chiamato Pip, di utilizzare una particolare agave, diversa da quella che veniva utilizzata dai nostri contadini, per ricavarne fibre tessili. «Già fin dal 1909 - scriveva Whitaker nel 1918, presentando i risultati degli esperimenti compiuti - visitando la mia isoletta di San Pantaleo, l'antica Motya, presso Marsala, e pensando ad una industria agricola che potesse utilizzare e vantaggiare i terreni incolti di quelle contrade e renderli più rimunerativi di ciò che non sono attualmente mi è venuta l'idea che meglio di qualunque altra coltura, converrebbe provare quella dell'Agave Sisalana, della quale, come pianta superlativamente adatta per l'industria tessile, avevo letto tanto in varie pubblicazioni». Nel 1910 Pip cominciò a piantare agavi a Mozia e in alcuni terreni presi in affitto sulla terraferma, in una località detta Tre pini. Propose a numerosi proprietari terrieri di diverse parti della Sicilia di impiantare la coltivazione delle agavi, costruì un piccolo impianto industriale nella località Tre pini, dove lavoravano un ragazzo ed un operaio di nome Giuseppe Arini, e riuscì a produrre una modesta quantità di fibra. Ma sembra proprio che le attività imprenditoriali non facessero per lui ! Le spese necessarie alla produzione di fibre tessili risultarono eccessivamente elevate: erano necessari macchinari costosi per sfibrare le agavi, carburante per farle funzionare, grandi quantità di acqua e mezzi di trasporto adeguati per portare le foglie nello stabilimento di produzione e poi il prodotto finito nei mercati. Pip sperava di ottenere, tramite il genero generale Antonino Di Giorgio, ministro della Guerra di Mussolini, delle agevolazioni da parte del governo, ma il regime fascista se ne disinteressò perché privilegiava l’industria pesante, al fine di assicurare l’armamento del Paese, e le aziende agrarie latifondiste per vincere la “battaglia del grano”. Non ottenne nulla di quello che chiedeva. I costi di produzione notevolmente più elevati di quelli richiesti nelle colonie dove la concessione dei terreni e la manodopera costavano molto di meno che in Sicilia e la qualità della fibra ottenuta nettamente inferiore a quella africana fecero fallire l’iniziativa. Le agavi continuarono ad essere coltivate per delimitare i campi e per farne liame, ma dalla seconda metà del ventesimo secolo sono state progressivamente estirpate. Oggi dalle nostre parti se ne vedono ormai poche piante sopravvissute, ma alcune varietà sono state riprese come piante ornamentali per abbellire le ville.





1 commento:

Unknown ha detto...

Grazie per le interessanti notizie fornite su questa pianta splendida ormai in declino .